giovedì 25 luglio 2013

Braccio di ferro.

Io dicevo scatola e tu capivi scatola, dicevo sedia e capivi sedia, parlavamo la stessa lingua o forse anche non parlandola avevamo desiderio di capirci.
Adesso sembriamo non capire più nulla. Leggi accuse dove non esistono. Un giudizio dove c'è un punto di domanda.
Ed io adesso voglio capire quello che c'è oltre le parole. Perché a volte si dice sedia, ma si intende tavolo, e a volte nemmeno si sa cosa si intende. Altre volte si dice scatola, senza sapere cosa metterci dentro. Potrei come ogni volta camminarti incontro. Gettare alle ortiche le mie ragioni inascoltate, rassegnarmi sul fatto che rimarranno tali, come tante altre volte. Potremmo coprire ancora una volta tutto di parole, potrei chiederti ancora scusa senza ricevere lo stesso in cambio. Potresti soffermarti ancora una volta solo sulle mie azioni, sulle mie parole, senza chiederti da dove arrivino, senza chiederti perché arrivino. Preoccuparti soltanto della tua anima ferita, senza pensare alla mia nemmeno un istante. Potremmo fare così, come è stato sempre. Tu manterresti intatto il tuo orgoglio, io lo calpesterei ancora, accumulando altra rabbia.
Potremmo, ma ho deciso di giocare un gioco diverso questa volta. Non farò nulla di tutto ciò, non getterò alle ortiche le mie ragioni, non mi rassegnerò a vederle inascoltate, non ti chiederò scusa se la cosa non sarà reciproca. Muoio ogni giorno aspettando, senza sapere chi sei davvero, ma è quello che farò. Ti ho aspettato tanto, all'inizio, aspetterò anche questa volta. Sembra un braccio di ferro e forse lo è. Se perdo ti perdo. Ma se non gioco ti perdo lo stesso. 
Voglio capire davvero quanto valgo per te. Oltre le facili parole. Voglio capire se vedi anche me, oltre te stesso. Se mi vedi davvero, o se mi guardi soltanto.

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